Ha senso parlare di etica e fotogiornalismo durante la maturità dell'era digitale? Tiziano aveva sollevato incidentalmente il problema in questa discussione sull'ormai celebre foto del fulmine su San Pietro nel giorno dell'abdicazione di Benedetto XVI. La Repubblica del 19 febbraio 2013 affronta il problema di petto, con tanto di articolo richiamato in prima pagina. Lo spunto arriva dall'assegnazione del
World Press Photo Award, premio olandese di fotogiornalismo. Il vincitore è Paul Hansen (La Presse) con uno scatto del funerale di due bambini palestinesi uccisi durante il bombardamento israeliano di novembre 2012 a Gaza. Secondo molti appassionati lo scatto è stato troppo ritoccato, tradendo lo spirito del fotogiornalismo, che dovrebbe raccontare la realtà senza fronzoli e senza ritocchi.
Ma qual'è il confine superato il quale si sta infrangendo l'etica? Già con un semplice raddrizzamento? Con un piccolo crop per togliere ad esempio una mano mozzata presente nell'inquadratura e non vista al momento di comporre lo scatto? Con un'aggiustatina ai colori o una leggera apertura delle ombre? Con un profilo immagine eccessivo? Oppure quando si modifica pesantemente lo spirito iniziale dello scatto? Se io fotogiornalista scattassi con un obiettivo particolare, ad esempio un Defocus, in modo da avere un effetto blur, sarebbe come chi aggiunge l'effetto blur in post-produzione?
Assolutamente sì, ha senso oggi come ha sempre avuto senso imporre a se stessi una personale etica, che si parli di fotogiornalismo o di una qualsiasi altra professione.
Nel caso specifico, secondo me, non c'è alcuna violazione della realtà, nel senso che l'immagine mostra (almeno così sembra) un fatto reale.
Il discorso sulla post produzione, in definitiva, resta una questione di gusti. A me, per esempio, questa foto non piace per come è stata lavorata. Il fatto è reale ma luci, colori ed ombre hanno un che di poco fotografico. E' più pittorica. Si discosta troppo dal tipo di immagine documentaria a cui sono abituato, ed a cui la fotografia ci ha abituati tutti per decenni, soprattutto col bianco e nero.
La mia personale visione sull'argomento, in conclusione, è pari pari quanto si legge alla fine dell'articolo di Repubblica:
"I "codici etici" dei grandi giornali anglosassoni pongono proprio questo limite alle manipolazioni digitali: che non superino le "normali pratiche" di controllo di contrasto e toni abituali in camera oscura.
"