Nick Brandt: un grido per l'Africa
Nick Brandt nasce nel 1964 in Inghilterra, studia pittura e cinematografia alla Saint Martin's School of Art. All'inizio degli anni 90 si trasferisce negli USA dove dirige alcuni video musicali di successo tra cui uno con Michael Jackson.
Nel 1995, durante le riprese di uno di questi video (Earth Song) ambientato in Tanzania, si innamora della natura e degli animali d'Africa. Per alcuni anni cerca di trasmettere senza successo le sue sensazioni nei confronti di questa terra.
Poi ha un'intuizione, esprimerà questo sentimento tramite la fotografia, ma una fotografia diversa.
Brandt infatti sceglie di fotografare in un modo completamente diverso da quasi tutti gli altri fotografi naturalisti. Le sue immagini sono molto lontane dalla vivacità di colori e dal dinamismo che si incontra nella quasi totalità della fotografia naturalistica di oggi.
Nick Brandt fotografa in bianco e nero su pellicola medio formato e non usa teleobiettivi potenti perchè, secondo lui, sono di ostacolo nel catturare l'essenza degli animali, secondo Brandt, con gli animali è come con le persone, non puoi rivelarne la personalità con un ritratto ripreso da lontano a loro insaputa.
Devi essere vicino, presente (viene da chiedersi cosa faccia o cosa abbia per non venire mangiato dai leoni o calpestato da un elefante, come è successo ad altro fotografo famoso, Peter Beard, che se l'è cavata per un soffio).
Afferma di amare le "sorprese" e le "imperfezioni" della pellicola, come la luce interagisce in modo inaspettato con il negativo.
Secondo lui le foto troppo perfette tecnicamente non necessariamente sono migliori o più interessanti.
Dal 2000 inizia il suo progetto fotografico: non documentare, ma celebrare, la bellezza, direi la grandezza, della natura africana minacciata di distruzione, per consegnarla alla memoria, prima che scompaia, nella speranza che qualcuno si muova per preservare almeno quel che ne rimane.
Il suo lavoro si concretizza in una trilogia di libri i cui titoli formano in sequenza un'unica frase: "On This Earth", "A Shadow Falls", "Across The Ravaged Land" (ossia "Su questa Terra" "Si proietta un'Ombra", "Su di una terra devastata"), oltre a numerosissime mostre.
Nel 2010 esasperato dal contrabbando di avorio, causa della strage degli elefanti, diviene co-fondatore della Fondazione Big Life, per la conservazione della fauna (e della natura) dell'Africa Orientale, a questo proposito scrive:"There’s little use being angry and passive. Much better to be angry and active." Ossia "serve a poco essere arrabbiati e passivi,. Molto meglio essere arrabbiati e fare qualcosa".
Come non essere d'accordo.
La "cosa" bianca è un cranio di elefante.
Nel 2016 pubblica una mostra/installazione ed un libro intitolati "Inherit the dust" (eredita la polvere) nella quale tramite una serie di imponenti foto panoramiche documenta l'impatto umano nell'Africa Orientale luoghi dove un tempo gli animali vagavano liberi, ora non più. In ogni location, pannelli a grandezza naturale degli animali sono sovrapposti ad un ambiente di affollamento urbanistico, fabbriche, discariche e cave.
9 Comments
Fatalità, ho preso da poco un libro di Brandt (uno della trilogia, A shadow falls pre la precisione - stampato in qualità molto buona, anche se credo sia la prima versione, quella che Brandt ha criticato per la qualità non sufficiente a rendere quello che era il suo lavoro,e che ha fatto ripubblicare, in versione deluxe, ahimé fuori budget), che ho sempre trovato divinamente intimo, nel senso che ti crea una connessione intima con l'animale ritratto, pur nella sua visione un po' "sognante" (forse a richiamo del suo sogno che un giorno si torni a trattare il mondo animale con il rispetto dovuto, e che permetterebbe di godere ancora a lungo di molte meraviglie che la Natura offre e offriva).
Si effettivamente sono molto ma molto particolari.. nonché alla loro maniera molto belle.. ed escono dai normali canoni..
Capisco la frustrazione di Brandt avendola vissuta (in scala ridotta) con la distruzione della meravigliosa Lagoa di Marapendì a Rio per far posto agli stadi della XXXI olimpiade. E' una tristezza enorme tornare nel nostro angolo segreto e invece di bellissimi animali trovare solo acqua mista a schiuma gialla e basta.
Tornando a Brandt trovo molto emozionanti i suoi scatti anche se non vedo perchè non potrebbe usare una reflex digitale. Probabilmente fa più "fino" così.
Sono completamente d'accordo, sia sulla prima che sulla seconda constatazione.
Sì! Stupende! Le immagini di Brandt sono forse tra le più famose al mondo. E questo, secondo me, dipende dal fatto che più che delle foto naturalistiche sono proprio dei ritratti di animali... e che ritratti! In molti secondo me hanno cercato di emulare il suo stile.
Le sue fotografie si possono trovare appese nei posti più diversi, e non solo dagli amanti della natura.
In quella del leone, così forte, saggio e fiero, mi ci sono imbattuto diverse volte. C'è anche nello studio del mio dentista :-)
ho notato che spesso chi ha studiato pittura, oltre ad avere una marcia in più nella fotografia in generale, tende ad usare il film chimico ... e spesso (nei paesaggi) coi banchi ottici e facendo da sè le lastre ...
Grazie per l'articolo. Avevo letto di questa mostra ma non avevo approfondito.
Andro a vedere se è previsto un passaggio in Italia, dal vivo credo che siano foto di grande impatto.
Si, foto di fronte alle quali non si può rimanere indifferenti: non solo coinvolgenti ma uniche nel loro genere. Dice bene cris7, dei ritratti per cogliere “l’anima” di questi animali. Operazione perfettamente riuscita.