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C'erano 1 risultati taggati con libro

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  1. Fotonaturopati, comperate questo libro. Non vi...

    Il libro fotografico nell'industria libraria è una specie di cenerentola scalza che non ha prospettive di incontrare uno straccio di principe azzurro e la cui zucca è utile giusto per le luminarie di Halloween. Questa è una constatazione, amara o meno giudicate voi, di fatto, almeno in Italia, le cose stanno così.
     
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    Il libro di fotografia naturalistica poi è, se possibile, ancor più sfigato, relegato in pieghe dimenticate della produzione degli illustrati che predilige donne nude, auto, motori e aerei ... perfino treni (i cataloghi di mostre e arte sono altro e vivono in una dimensione differente). Così se Rizzoli decide di produrre e distribuire un volume importante in dimensioni, tiratura e veste grafica, che tratta di Fotografia della Natura (!) non si può fare a meno di 1) comperarlo 2) parlarne. Eccoci qui allora con il nuovo volume "Gli Ultimi Grandi Luoghi Selvaggi" di Tom Mangelsen, librone dal formato non irrilevante (31x48), dal peso considerevole (3,6 Kg) e dal costo tutto sommato adeguato: 75 Euro. Sono meno di 21euro al Kg, un buon Prosciutto crudo nazionale costa di più e dopo un po' finisce, questo invece lo si lascia in eredità ai figli.
     
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    Gli Ultimi Grandi Luoghi Selvaggi è un bellissimo volume con 214 pagine, di carta patinata ad elevata grammatura, su cui il tipografo ha fatto onore alle fotografie di Mangelsen, riproducendole con la dovuta precisione e conservando il livello qualitativo che meglio si avvicina alle stampe di questo particolare  autore che, forse non lo sanno tutti, vive (anzi prospera) di stampe "Fine Art". Questa è perciò l'occasione per parlare di un fotografo molto bravo e di un fenomeno che da noi è assolutamente inesistente mentre negli Stati Uniti è una concreta forma di business per qualunque fotografo professionista, parlo della fotografia come entità "stand alone" da comperare per quello che è, cioè un oggetto da guardare e da usare per fare cose, come arredare i muri di casa e ufficio.
     
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    Partiamo dal principio. Thomas Mangelsen in Europa è un fotografo relativamente famoso. Chi ama la fotografia della natura, di dritto o di sbieco, prima o poi questo nome lo legge da qualche parte. A me capitò per la prima volta al BBC Wildlife Photographer of the Year del '94 dove tra le vincitrici c'era un'immagine "wide landscape" di un'orso polare in compagnia di una volpe artica, ripresi su una banchina gelata e sferzata dal vento. In quello scatto i due animali sono tesi verso la luce del sole artico. Ricordo distintamente di aver pensato "minkia!". E da fotografo mi immaginai questo Mangelsen, appollaiato sul tetto di uno di quei pulmini di Churchill, intento a trascinare la pellicola per lo scatto successivo delle sua fantastica Fuji-617.
     
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    Perchè non conoscevo questo nome? Chi era questo americano dal cognome che tradisce evidenti discendenze nord europee? Alla prima domanda rispondere è semplice: Mangelsen non è un fotogiornalista, cioè non è un fotografo che per campare ha dovuto girare per redazioni e agenzie, quindi è ben difficile che si venga a conoscenza di qualcuno che sulle riviste non è presente o, se lo è, lo è molto raramente. Alla seconda domanda invece la risposta è un po' più articolata e se ne può dare parziale soluzione leggendo l'introduzione al volume. Per riassumere un po', Mangelsen è un ragazzo del Nebraska che cresce lungo le sponde del fiume Platte spendendo la sua giovinezza, anni 50 e primi 60, imitando alla perfezione i richiami della fauna pennuta di ogni specie, accompagnando il padre nelle lunghe battute di caccia tra le paludi alluvionali del midwest. Animale simbolo della regione del fiume Platte, nonché delle battaglie ecologiste degli anni '70, è sicuramente la Gru canadese con cui il giovane Mangelsen ebbe una certa quotidianità (!).
     
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    La prima fotocamera (una Asahi Pentax Spotmatic) la prese in mano durante il dottorato di ricerca per l'università di Lincoln del Nebraska dove Mangelsen si laureò in Biologia "di nascosto"; in effetti la famiglia credeva studiasse economia aziendale. Non male, qui da noi queste "gabole" non riescono, parlo per esperienza. Da cosa nasce cosa e a fare le foto Mangelsen si appassiona. E poi è bravo, ha il senso per l'inquadratura e sa gestire l'elicoide della messa a fuoco di quei tubi di stufa del tempo (come il Komura 300/5 a preselezione!!) tanto bene da fotografare le papere al volo su scatto singolo. Sì, confermo che ci va un bel tempismo. Ho sorriso nel leggere che il posto da dottorando se lo conquistò sfruttando la sua abilità di imitatore dei versi degli uccelli palustri, perché, in quanto a voti, aveva una media non particolarmente brillante. Mi sta già più simpatico 'sto Mangelsen! Altri dettagli bizzarri della vita di quest'uomo li lascio a chi avrà buon cuore di comprare il libro e leggersi l'intro (OLTRE CHE GUARDARE LE FIGURE).
     
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    Trovo curioso osservare come Mangelsen, fin dagli esordi, si impose come gallerista. Perbacco! Siccome all'inizio degli anni '70 nemmeno le più innovative gallerie d'arte contemporanea d'America comprendevano il senso della fotografia della natura (nonostante la considerazione di cui gode la fotografia oltreoceano), Mangelsen la galleria se la dovette costruire da sè con i suoi sesterzi. E lo fece nel posto giusto, a Jackson Hole in Wyoming a due passi dal Parco Nazionale di Yellostone, ai piedi dello scorcio montano più famoso d'America, quello del Gran Teton immortalato da celeberrimi scatti di Ansel Adams, che a lui, invece, le gallerie la porta la aprivano eccome. Va bene, detta così però non è proprio completa, perché la gente alla "Images of Nature Gallery" occorreva portarcela, e qui corse all'esperienza di famiglia di venditori al dettaglio che, pur avendolo lasciato libero di studiare Biologia, il senso degli affari glielo avevano inculcato nel DNA. Il colpo di genio fu aprire dei chioschi negli aeroporti degli stati confinanti al Wyoming, pubblicizzando la sua iniziativa di produttore di magnifiche fotografie di animali Selvaggi. Vero anche che le cose, quando capitano, non avvengono proprio per caso. In effetti al successo dell'iniziativa contribuì seriamente l'attività di Cameraman - Documentarista attività questa contigua al dottorato. Di fatto il documentario sulla migrazione delle Gru Canadesi dal Nunavut fin giù giù al Golfo del Messico, passando per la sua casa natale sulle rive del fiume Platte in Nebraska, aiutò ad accrescere la popolarità del nome Mangelsen, fino a farne un vero marchio di fabbrica (del resto le nomination al Grammy Awards non le danno a tutti). In questo modo un giro d'affari che nei primi anni non superava i ventimila dollari, è cresciuto fino alla DECINA a sei zeri attuali, si cribbio dieci milioni di dolori annui, rendiamoci conto.
     
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    Va bene, però non è che qui io stia scrivendo di un "pataccaro", di uno che comunque è stato solo capace di cogliere il momento storico giusto per farsi un nome e poi campar di rendita e no! Le foto di Thomas Mangelsen sono belle da far PAURA, soprattutto quelle di casa sua, quelle del cuore americano, delle Rockies, delle Aquile Calve, del Grizzly, del Lupo grigio e del Bisonte. A tal proposito permettetemi una digressione: il traduttore di Rizzoli il Bisonte me lo indica come bufalo. Ormai ci sono quasi abituato: gli Americani dicono Buffalo per indicare i Bisonte, Elk per il Cervo e Moose per l'Alce. I traduttori, che tutto sanno di James Joyce, Walter Scott e William Shakespeare, poco sanno di zoologia e di tante altre belle cose di tutti i giorni. Così, da sempre, mi ritrovo didascalie piene di Alci dove ci sono cervi, bufali dove ci sono bisonti e misteriosi Moose (?) dove compare l'alce. Ah, dimenticavo Cheetah non è la scimmia di Tarzan, ma il Ghepardo africano, no, così tanto da chiarire.
     
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    Per tornare a noi, al libro, all'Autore, non sto qui a sperticarmi in mielose lodi sulla poesia del cogliere l'attimo e l'armonia delle forme di vita della natura. A fare questo, in modo molto pacato ed essenziale, ci pensa l'introduzione di Jane Goodall amica di Tom Mangelsen. No io vi parlo da fotografo, da fruitore di immagini e da appassionato. Le foto di Mangelsen sono quelle immagini che tutti noi, piegati sotto le tonnellate di treppiedi e teleobiettivi, vorremmo poter realizzare almeno una volta nella vita. Fosse solo lo scatto degli orsi danzanti, ma io mi accontenterei della veduta del Caribù con il Denali sullo sfondo, quella è l'immagine della natura Selvaggia che vorremmo fotografare, vedere, vivere. Sottolineo Selvaggia perchè il signor Mangelsen non fotografa negli zoo o nelle Photo Farm. E no cari miei, i suoi puma sono selvaggi, le sue foto sono incontri veri con altri esseri viventi che vivono la loro vita su questo mondo insieme all'uomo e, spesso, nonostante l'uomo.
     
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    Non voglio certo peccare di presunzione in nessun modo, non è da me, ma io questo approccio lo capisco. Lo comprendo perché per me non avrebbe senso realizzare un primo piano di un lupo, primo piano pur magnifico, ma ottenuto in situazione controllata. Me ne faccio una ragione, io di lupi non ne incontrerò e quell'immagine me la terrò tra i desiderata della vita. Ma l'incontro con quella volpe pelle ossa, la sorpresa del capriolo della via Val Sesia, riversati su un sensore o su un pezzo di film lungo pochi millimetri, sono l'essenza della fotografia della natura, sono la testimonianza di qualcosa di vero e meraviglioso allo stesso tempo. E questo si trova in tutti gli scatti di Mangelsen, immagini realizzate dove gli animali vivono, prosperano e si affaccendano nelle loro tribolazioni. Questo è il peso di uno scatto dell'uomo del Nebraska, peso che invito tutti a condividere sfogliando questo manuale di meraviglie da tre chili e mezzo abbondanti.
     
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    Sfogliare un libro ha il suo perché, alla faccia di mele e meline varie

    • dic 31 2014 13:29
    • da Valerio Brùstia