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William Eugene Smith : A walk to Paradise Garden
set 30 2012 01:00 |
Lieve
in Grandi Fotografi
William Eugene Smith si staglia tra le figure dei fotogiornalisti della nostra epoca.
Nato nel 1918, già nel 1938 a venti anni era freelance collaboratore di Life Magazine e del New York Times.
Dal 1942 inviato speciale nel teatro del Pacifico, realizza servizi memorabili delle principali campagne militari americani, culminanti con lo sbarco di Okinawa in cui viene ferito dallo scoppio di una granata giapponese mentre sta prendendo l'ultima foto.
Una scheggia dello schrapnel gli attraversa la mano sinistra prima di conficcarsi nella sua faccia.
Due anni di ospedale con interventi di chirurgia plastica lo rimettono in piedi e dal 1947 ancora per Life Magazine copre eventi in tutto il pianeta.
I suoi lavori lo consacrano come il più importante fotogiornalista.
Pubblica libri e organizza esposizioni monotematiche di suoi lavori di ricerca (memorabile quella sulle acciaierie di Pittsburgh del 1958).
Un breve passaggio per l'agenzia Magnum evidenzia l'incompatibilità con Cartier Bresson.
Negli anni successivi si manifesta con chiarezza il suo disappunto per un certo modo ruffiano di fare informazione.
La sua ricerca della pura ed incontrovertibile prova fotografica della verità non si ritrova più nella carta patinata delle riviste degli anni '60 e '70.
Quasi emarginato e gravemente ammalato di diabete è solo grazie ai buoni uffici dell'amico Ansel Adams che trova modo di insegnare fotogiornalismo a New York mentre gli viene data la carica di presidente della American Society of Magazines Photographers.
Ma la salute, minata dalle malattie e dai disagi patiti in missione lo porta alla prematura scomparsa all'età di 60 anni nel 1978 almeno secondo quanto dicono le cronache ufficiali.
In verità la morte avviene a seguito delle percosse subite dai manifestanti di Minamoto, in qualche modo pilotate dalla proprietà delle fabbriche che le sue foto avevano denunciato.
La foto di copertina di questo articolo si intitola "A walk to Paradise Garden" ed è la prima immagine prodotta da Gene Smith subito dopo il ricovero a seguito delle ferite.
E' a mio parere una delle immagini più commoventi della intera storia della fotografia, tanto è delicata e speranzosa e simboleggia la rinascita dell'autore che riprende a camminare verso la ripresa della sua attività.
Non è semplicemente una fotografia, oppure è semplicemente quello che dovrebbe essere una fotografia tanto è densa di significati personali ma al tempo stesso simboleggia un'epoca di ingenuità che forse cominciava a sfumare dopo la guerra.
In effetti le interpretazioni di questa foto occupano interi volumi..
Lla foto stessa vale quanto un romanzo.
Ma sono tanti i lavori che possono connotare l'opera fotografica di Gene Smith :
Country Doctor, 1948. Una ricerca sull'impegno quotidiano dei medici di campagna del mid-west
Spanish Village, nella Spagna franchista del 1938
Pittsuburgh. Un lavoro memorabile, fatto con il ricavato di una sponsorizzazione Getty, impegno di circa due anni con decine di migliaia di scatti ed oltre 800 stampe curate personalmente dall'autore a testimonianza delle condizioni della città americana famosa per la produzione dell'acciaio.
Minamata. La ricerca svolta a titolo personale, solo contro tutti insieme alla moglie giapponese a testimonianza degli effetti dell'inquinamento da mercurio sull'ambiente, sugli operai e sugli abitanti intorno alla fabbrica.
Aggiungo - ma tanti esempi potranno essere ricavati dal web o acquistando qualche monografia, alcune altre immagini a mio parere significative.
La guerra nel volto dei soldati :
che dormono al suolo con il fucile a portata di mano :
Laa tragedia civile nel volto di chi attende notizie dal disastro dell'Andrea Doria al porto di New York :
Di semplice cronaca :
Oppure di semplice quotidianità :
Sono tante le frasi di Smith che vengono citate spesso, alcune militanti, altre che testimoniano la grande carica umana che lo ha contraddistinto per tutta la vita.
Mi permetto anche io di citare quella che è forse più abusata ma che è in sintonia con i percorsi fotografici che, immodestamente, cerco di suggerire ogni giorno su Nikonland :
A cosa serve una grande profondità di campo se non c'è un'adeguata profondità di sentimento?
Indubbiamente uno di quegli uomini di cui, probabilmente e non a causa del digitale, si è perso lo stampo
Nato nel 1918, già nel 1938 a venti anni era freelance collaboratore di Life Magazine e del New York Times.
Dal 1942 inviato speciale nel teatro del Pacifico, realizza servizi memorabili delle principali campagne militari americani, culminanti con lo sbarco di Okinawa in cui viene ferito dallo scoppio di una granata giapponese mentre sta prendendo l'ultima foto.
Una scheggia dello schrapnel gli attraversa la mano sinistra prima di conficcarsi nella sua faccia.
Due anni di ospedale con interventi di chirurgia plastica lo rimettono in piedi e dal 1947 ancora per Life Magazine copre eventi in tutto il pianeta.
I suoi lavori lo consacrano come il più importante fotogiornalista.
Pubblica libri e organizza esposizioni monotematiche di suoi lavori di ricerca (memorabile quella sulle acciaierie di Pittsburgh del 1958).
Un breve passaggio per l'agenzia Magnum evidenzia l'incompatibilità con Cartier Bresson.
Negli anni successivi si manifesta con chiarezza il suo disappunto per un certo modo ruffiano di fare informazione.
La sua ricerca della pura ed incontrovertibile prova fotografica della verità non si ritrova più nella carta patinata delle riviste degli anni '60 e '70.
Quasi emarginato e gravemente ammalato di diabete è solo grazie ai buoni uffici dell'amico Ansel Adams che trova modo di insegnare fotogiornalismo a New York mentre gli viene data la carica di presidente della American Society of Magazines Photographers.
Ma la salute, minata dalle malattie e dai disagi patiti in missione lo porta alla prematura scomparsa all'età di 60 anni nel 1978 almeno secondo quanto dicono le cronache ufficiali.
In verità la morte avviene a seguito delle percosse subite dai manifestanti di Minamoto, in qualche modo pilotate dalla proprietà delle fabbriche che le sue foto avevano denunciato.
La foto di copertina di questo articolo si intitola "A walk to Paradise Garden" ed è la prima immagine prodotta da Gene Smith subito dopo il ricovero a seguito delle ferite.
E' a mio parere una delle immagini più commoventi della intera storia della fotografia, tanto è delicata e speranzosa e simboleggia la rinascita dell'autore che riprende a camminare verso la ripresa della sua attività.
Non è semplicemente una fotografia, oppure è semplicemente quello che dovrebbe essere una fotografia tanto è densa di significati personali ma al tempo stesso simboleggia un'epoca di ingenuità che forse cominciava a sfumare dopo la guerra.
In effetti le interpretazioni di questa foto occupano interi volumi..
Lla foto stessa vale quanto un romanzo.
Ma sono tanti i lavori che possono connotare l'opera fotografica di Gene Smith :
Country Doctor, 1948. Una ricerca sull'impegno quotidiano dei medici di campagna del mid-west
Spanish Village, nella Spagna franchista del 1938
Pittsuburgh. Un lavoro memorabile, fatto con il ricavato di una sponsorizzazione Getty, impegno di circa due anni con decine di migliaia di scatti ed oltre 800 stampe curate personalmente dall'autore a testimonianza delle condizioni della città americana famosa per la produzione dell'acciaio.
Minamata. La ricerca svolta a titolo personale, solo contro tutti insieme alla moglie giapponese a testimonianza degli effetti dell'inquinamento da mercurio sull'ambiente, sugli operai e sugli abitanti intorno alla fabbrica.
Aggiungo - ma tanti esempi potranno essere ricavati dal web o acquistando qualche monografia, alcune altre immagini a mio parere significative.
La guerra nel volto dei soldati :
che dormono al suolo con il fucile a portata di mano :
Laa tragedia civile nel volto di chi attende notizie dal disastro dell'Andrea Doria al porto di New York :
Di semplice cronaca :
Oppure di semplice quotidianità :
Sono tante le frasi di Smith che vengono citate spesso, alcune militanti, altre che testimoniano la grande carica umana che lo ha contraddistinto per tutta la vita.
Mi permetto anche io di citare quella che è forse più abusata ma che è in sintonia con i percorsi fotografici che, immodestamente, cerco di suggerire ogni giorno su Nikonland :
A cosa serve una grande profondità di campo se non c'è un'adeguata profondità di sentimento?
Indubbiamente uno di quegli uomini di cui, probabilmente e non a causa del digitale, si è perso lo stampo
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5 Comments
Ciao,
Adri.
Vado subito a cercarmi un libro con il suo lavoro di Pittsburgh...
PS Bellissimo questo genere di articoli.
Grazie Mauro.
Ho sempre amato Smith, una persona prima che un fotografo. Ed è sempre stata questa la forza del suo lavoro.
Da ragazzo leggevo tutti gli articoli che lo riguardavano. Allora non esisteva internet e le poche riviste di fotografia degne di essere lette pubblicavano le sue foto e raccontavano di tutte le vicissitudini che lo riguardavano: dagli infortuni in prima linea alle sue incomprensioni con l'editore Life; alla depressione che lo ha accompagnato fino alla morte. Solo chi soffre può raccontare la sofferenza e lui lo ha fatto con una sensibilità e una delicatezza ineguagliabili, spalmando una patina d'amore su tutto l'orrore che vedeva e raccontava.