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Favelas Luminose - Una visione positiva di Rio de Janeiro
set 21 2012 10:40 |
Spinoza
in Reportage
Rio de Janeiro Favelas Reportage BrasileQuesto è il mio primo articolo Redazionale e ho pensato di scegliere un argomento che mi sta molto a cuore.
Le foto provengono in parte da una mia mostra ("Favelas Luminose") che è stata esposta a Rio, a Venezia e a Conegliano, in locali "seri" (gallerie, municipi e spazi culturali), ma niente di trascendentale...un onesto medio cabotaggio. Devono anche esserne rimaste tracce su Google.
Qui ho pensato di "seminare" le foto in mezzo al testo, così da non creare un mattone pesante da leggere.
Le foto fanno parte di 3 collezioni e per questo oltre alla maggioranza in BN ve ne sono alcune a colori, ma ho pensato che qui potevano convivere anche se non è la prassi normale. Comunque quelle a colori le ho messo tutte insieme in una sola pagina.
NB: Le foto acquistano molto se le cliccate. Inoltre è possibile vederle tutte di fila (di una pagina solo però), una dopo l'altra semplicemente cliccando sulla prima e poi cliccando sul bottone "next"...però poi tornate qui per leggere il testo!
Signora con la pipa
Una piccola introduzione per spiegare la mia visione dell'argomento: i miei genitori sono Italiani, di Venezia, ma io sono nato e cresciuto in Brasile, anche se con lunghe permanenze in Italia. Ho abitato a Rio fino al 2004 quando sono venuto "tendenzialmente" a stare in Italia.
Il portoghese/brasiliano è la mia prima lingua e Rio è la "mia" città. Il fatto di parlare la lingua nativa mi ha aperto le porte di queste comunità, soprattutto nelle zone "critiche", inaccessibili a uno straniero.
Skateboard
Entriamo in argomento: le Favelas del Brasile, ma di Rio in particolare, sono una parte integrante e fondamentale della cultura e della società Brasiliana. Tutti hanno contatti, amici, colleghi o magari clienti che vivono nelle favelas, persone serie e rispettabili....ma non sono tutti così.
Ragazza con la spesa
Geograficamente Rio è un incredibile intreccio di acque, terre, montagne e foreste. E' una città enorme con un litorale urbano che misura più di 130km da un estremo all'altro. Sono in realtà tante città, collegate da una infinità di tunnel che bucano le montagne coperte dalla foresta...la Foresta della Tijuca, la più grande foresta urbana del mondo.
Ed è proprio sulle montagne di Rio che si trovano le favelas, avvinghiate su roccioni e pendii scoscesi e percorse da un dedalo di stradine, alcune anche percorribili in auto, ma per la maggioranza, viuzze a gradini di cemento o in terra battuta.
E così i panorami più belli della "Cidade Maravilhosa" sono appannaggio esclusivo degli abitanti delle "Comunità".
Fattorino
"Favela" è la parola usata comunemente, anche se la parola politicamente corretta è "Comunidade".
"Favelado" invece è parola decisamente offensiva per indicare un abitante della Favela. Si deve dire "Morador", cioè "abitante".
Un'altra parola molto comune per chiamare la favela è "morro" che letteralmente significa montagna o collina. "Morro" è molto usato nei testi musicali.
Interno con famiglia
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40 Comments
La mia preferita è assolutamente quella dove si vede il campetto da calcio con sullo sfondo la città! Grazie bellissima testimonianza.
una cosa del genere la vedrei bene su un libro by Nikonland
Ho vissuto a Sao Paulo per un anno molto tempo fa, ho apprezzato il tuo racconto e le motivazioni che stanno dietro ad esso.
Tra le mie foto preferite c'è certamente quella dove quelle persone salgono la gradinata verso le braccia aperte del Redentor.
Mi permetto di terminare il verso di Jobim da te citato, poichè lo ritengo bellissimo
"São as águas de Março fechando o verão...é a promessa de vida no teu coração"
(Son le piogge di marzo, chiudendo l'estate...è la promessa di vita nel tuo cuore)
Valeu
______
Andrea
Mi pare un fantastico esempio di come certe descrizioni siano possibii solo quando c'é un contatto personale (e parlare la stessa lingua é parte fondamentale).
E di come il contatto personale sia presente in ogni singola immagine.
Poche volte ho visto reportages di questo livello, grazie di avercelo "regalato".
a_
Tendo a rifuggere dalle serie di foto magari belle tecnicamente di facce tristi e senza speranza. Non andrei mai a fare un viaggio in certe zone e men che meno scatterei delle foto. Mi sembrerebbe di speculare sulla miseria altrui.
Qui invece si vedono persone che hanno poco ma vivono con allegria e speranza di un futuro migliore.
Colpisce, anche se non stupisce, che ci siano solo neri (uso questo termine perche', almeno nella cultura anglosassone, "negro" e "di colore" sono termini offensivi). Mi sembra di capire che in Brasile i bianchi siano una casta a parte.
bravissimo nel cogliere momenti, volti, sorrisi e luoghi che raccontano meravigliosamente il contesto della "comunidade".
il tuo testo è anche ricco di piccole curiosità che solo un "insider" può regalare, davvero toccante.
la mia preferita in assoluto è "l'ascesa" col Redentore che accoglie a braccia aperte i viandanti.
bianco e nero o colore sinceramente penso che non sia così rilevante quando l'impatto emotivo di una foto è così forte.
Obrigada.
Come non essere d'accordo?
Bellissimo!
Ciao,
Silvio
Ciao,
Adriano.
Amo il B/N, soprattutto per foto di questo tipo, ma in questo caso sono stato ancora più colpito da quelle a colori: "l'ascesa", già segnalata da altri, e "aquiloni" su tutte.
Veramente complimenti.
A questo proposito, la situazione razziale in Brasile è molto più complessa e diversa rispetto ad altri paesi, soprattutto dagli USA dove ci sono i neri e i bianchi.
In Brasile i neri puri sono quasi del tutto scomparsi, la popolazione è completamente miscelata. La parola che usano è "mulato" che indica chi ha sangue bianco e nero.
Le gradazioni sono infinite, dal bianco al nero, con colori della pelle meravigliosi e sempre diversi. Nelle foto del servizio non ci sono "neri", ma solo mulatti.
Nelle favelas esiste anche una percentuale di bianchi.
In Brasile non c'è razzismo nel senso tradizionale del termine, ma ce n'è uno economico infatti i "bianchi" o quasi-bianchi detengono la maggior parte della ricchezza, ma anche delle professioni più pagate. Esiste tuttavia un aumento importante nel numero dei medici, ingegneri, avvocati ecc di razza mulata. Nei posti pubblici, poi questa percentuale è molto più alta, sia nei ministeri, sia tra i magistrati.
In tutti i posti pubblici e in tutti gli ascensori del Brasile, pubblici o privati, c'è una targhetta che ricorda che il razzismo è proibito e quali sono le sanzioni previste.
Nella vita comune invece il razzismo scherzoso è diretto verso la pelle bianca (anche se abbronzata), considerata brutta e antiestetica.
Frammenti di vita quotidiana colti con profondo rispetto, senza enfasi e sovrastrutture retorica, con il fascino e del "vissuto" e la cultura di chi conosce davvero il tema, che non ha bisogno di drammatizzare per emozionare nel profondo.
Difficile scegliere tra testi e immagini (parecchie molto belle anche "da sole"): tutto è unito da uno stesso stile, perfettamente coerente.
"Soggettivamente", ho sentito di più le foto a colori, nel medesimo tempo brillanti ma con una cupezza di fondo che sottende molto.
guardando i tuoi scatti mi son venute in mente le esperienze che ho avuto la fortuna di vivere in Africa e in Perù: in entrambi i casi ho avuto modo di vivere la vita vera della gente del posto (non da turista insomma) e davvero, scopri proprio come si può esser felici nella difficoltà, senza viverla quindi come tale.
Ancora complimenti!
Bello anche il messaggio di speranza e riscatto espresso dal tuo lavoro, ne abbiamo bisogno pure noi!
Complimenti
a_
Concordo con i commenti precedenti, un reportage fatto per mostrare non per dimostrare, dove protagonisti sono luoghi e persone mentre il narratore lascia il posto al lettore che vive l'esperienza come propria.
Mi piace molto la spontaneità delle persone, spoglie da quella maschera di diffidenza che a volte condiziona l'impatto e comunica sensazioni opposte a quelle mostrate qui.
Mi piace la solarità dei bambini e la dignità delle persone dove spicca come pregio la semplicità.
Non mi soffermo sulle singole foto ben scelte e studiate.
Vorrei solo sottolineare quella degli aquiloni dove il tetto della casa crollata sembra a sua volta un aquilone che vola sorretto dai cavi provenienti dalla città, ma libero nel suo spazio privilegiato.
Sì, ci sono tornato diverse volte, ma è sempre difficile ritrovare i moradores fotografati una prima volta.
Il barbiere l'ho ritrovato sempre, ma non sono più riuscito a fotografarlo in una posa così naturale e radiosa come la prima volta.
Hai una foto di te stesso mentre ti aggiri per i moradores in tenuta da "fotografo ufficiale"?
Lo chiedo perché credo che un tale livello di vicinanza tra soggetto e fotografo a mio modo di vedere deve necessariamente essere anche una vicinanza di tipo fisico, di comportamento, modo di vestire, attrezzatura eccetera. Non credo si limiti alla "semplice" lingua ne tantomeno ad una dose di faccia tosta.
a_
1. L'origine delle favelas urbane di Rio è legata al momento in cui fu abolita la schiavitù in Brasile (1888): gli ex-schiavi si trovarono senza un posto dove andare e per restare vicini al loro "posto di lavoro" si trasferirono sulle montagne intorno alla città. Chiaro poi che povertà e abbandono hanno fatto il resto, ma molte persone che raggiungono l'agiatezza continuano a vivere nella "loro" favela, per la loro ricchezza culturale e senso di appartenenza.
2. Non ho foto di backstage, ma mi vestivo come uno di loro e cioè come mi vesto sempre a Rio: infradito, bermuda scuri e T-shirt. In tasca 20R$ e telefonino. Nient'altro.
Nessuna borsa fotografica e l'attrezzatura più semplice che possiate immaginare.
Per quanto difficile possa essere immaginarlo ora, nel XXI secolo, l'abolizione della schiavitú é stata molto spesso un dramma vero e propri per gli ex-schiavi.
Al contrario di quanto si pensa comunemente, all'abolizione si é arrivati non tanto per ragioni umanitarie, ma meramente per ragioni economiche.
L'importanza dei movimenti sociali abolizionisti é molto relativa (quasi inesistente), ed il grosso del "pensiero abolizionista" é dato dall'applicazione delle leggi inglesi di due secoli prima, che inquadravano gli schiavi come "beni materiali".
Un atto economico-buocratico, insomma.
Prima di tutto l'abolizione della schiavitú in quanto tale segue di molte decine di anni l'abolizione della tratta e del commercio triangolare nell'Atlantico.
Era diventato un commercio in perdita, non piú remunerativo.
A nessuno, negli ultimi anni del '700, interessava il depauperamento delle "risorse umane" nell'africa nera, se non per il fatto che avendo ormai deportato una fetta troppo consistente di giovani in forze, le societá africane stavano decadendo, e non era piú in grado di comprare beni europei scambiandoli con schiavi....
Tra cinquanta e novanta anni dopo, anche l'esistenza degli schiavi comincia ad essere antieconomica.
Le lavorazioni industriali applicate all'agricoltura rendono le grandi piantagioni troppo costose se gestite con risorse umane...
...Ma soprattutto comincia ad apparire la realtá sociale che la tratta e lo schiavismo ha creato nelle Americhe. Si prende atto cioé dell'esistenza di una societá parallela fatta di schiavi di molte generazioni, a cui il proprietario deve fornire vitto e alloggio, ed educazione quando gli schiavi sono impiegati in determinate mansioni. Puramente per una questione di salvaguardia del valore del "bene-schiavo".
Ed il prezzo degli schiavi, in mancanza dell'apporto costante di nuova "materia prima" che decine di anni prima era garantito dalla tratta, diventa sempre piú elevato.
Contemporaneamente, le realtá industriali europee hanno "inventato" la figura del lavoratore salariato, inesistente nei secoli d'oro del commercio triangolare.
Ed i lavortori salariati hanno diversi vantaggi sugli schiavi, dal punto di vista dei datori di lavoro.
Per prima cosa il datore di lavoro non deve garantire alloggio ed educazione agli operai, e soprattutto le crisi cicliche (sanitarie e di carenza di cibo) che affliggono le campagne portano verso le fabbriche un numero sempre piú elevato di persone pronte a lavorare come salariati.
E piú persone significa piú concorrenza, quindi salari piú bassi e condizioni lavorative peggiori per il lavoratore.
Quando lo stesso modello si sposta anche verso le campagne, con la meccanizzazione di metá ottocento, lo stesso concetto viene applicato dai proprietari terrieri, che in moltissime situazioni si trovano ad avere un surplus di manodopera (schiavile nelle colonie ed ex colonie) che in quanto tale non puó essere semplicemente lasciata a sé stessa, come avviene con gli operai ed i "contadini meccanizzati".
Il proprietario ha dei doveri verso gli schiavi che il padrone della fabbrica non ha verso gli operai.
La liberazione degli schiavi non avviene quindi per motivi pietistici, ma solo e solamente per motivi economici.
Le conseguenze sono molto spesso disastrose, ed in diversi casi portano a rivolte sanguinose che con il "sedimentarsi" della situazione schiavile e con il mancato apporto di nuovi schiavi dalla tratta erano totalmente dimenticate.
Gli schiavi erano in qualche modo persone garantite, perché dotate di un valore commerciale che il proprietario doveva salvaguardare.
Le stesse persone, una volta libere, non avevano piú nessun diritto, e non potevano rivendicare nessuno dei benefici che prima avevano di diritto, in quanto "cose".
L'idea che l'abolizione della condizione schiavile sia stata un bene é purtroppo molto spesso errata ed utopica, e purtroppo la realtá lo ha dimostrato praticamente ovunque, in America.
Le Favelas sono dunque uno degli effetti deleteri della perdita di identitá degli ex schiavi....
Da schiavi, con diritti, doveri e mansioni, diventano "persone"... senza diritti e senza mansioni, alla mercé del libero mercato per quanto riguarda i loro doveri e la remunerazione delle loro mansioni.
a_
a_
Gli ex-schiavi andarono ad abitare nei "cortiços", e cioè antichi casoni padronali abbandonati dai signori e trasformati in misere coabitazioni.
Questi cortiços occupavano le zone più nobili del centro di Rio.
Con la scusa della propagazione della febbre gialla, fu deciso l'abbattimento dei cortiços.
Nella notte del 26 gennaio 1893 il Prefetto (sindaco) Cândido Barata Ribeiro condusse un'imponente operazione di polizia per lo sgombro del più grande cortiço di Rio, il "Cabeça de Porco".
Più di 4000 abitanti si ritrovarono in mezzo alla strada. Gli fu consentito di prendersi solo i materiali di legno delle loro case. Il cortiço fu raso al suolo e gli abitanti si costruirono delle baracche su una montagna lì vicino: la "Favela do Morro", la prima favela di Rio.
A partire dal 1901 il nuovo Prefetto Pereira Passos rimodellò completamente il centro di Rio ispirandosi a Eugene Haussmann, che aveva "rimodellato" più del 60% di Parigi 30 anni prima eliminando le strette viuzze (ideali per le trincee rivoluzionarie delle Comuni di Parigi) e sostituendole coi grandi Boulevards. Anche a Rio il risultato estetico fu senza dubbio eccellente, ma nella notte del 26/01/1893 fu di fatto inaugurata l'era delle Favelas di Rio.
Amo soprattutto quella dell'Ascesa: oltre ad essere veramente toccante come fotografia (la schiena lucida di sudore del padre che porta faticosamente il figlio su per le lunghissime scalinate delle favelas), puo certamente simboleggiare il desiderio di emancipazione di queste popolazioni.
Complimenti.
P.S. Nel mio caso l'amore per il Brasile è legato alla fatto di verere un fratello "brasiliano" che risiede da 23 anni a Jijoca de Jericoacoara...
Mi sono piaciute praticamente tutte le foto ma quella che prediligo è la penultima quella con il bambino che ti indica sorridendo.
Trovo l'espressione del viso bellissima e lo sguardo mostra un misto di gioia e furbizia tipico dei bambini. Mi piace pensare che il progetto del governo brasiliano possa veramente aver successo, in modo da riuscire a donare a tutti i bambini quello sguardo.
Ottimo lavoro.
Marco