Non ho letto tutto però vorrei dire quel che ho capito con la mia limitata esperienza.
Intanto guardatevi questo
link e questa foto:
Inizio con un po' di teoria.
La tridimensionalità esiste?
Sì, esiste in natura ma in fotografia va riprodotta (qui sta il problema).
A cosa è dovuta?
Dalla pittura scopriamo che è stata introdotta dalla prospettiva e dal chiaro-scuro (luci-ombre).
Quindi essenzialmente la tridimensionalità andrebbe cercata nella luce e nella composizione sfruttando le quinte con i tele e le linee con i grandangolari.
Rimane comunque fondamentale l'uso della luce.
Cos'ha in più la fotografia rispetto alla pittura?
Ha la possibilità di usare il diaframma e quindi di giocarsi una terza carta: la profondità di campo e quindi la capacità di concentrare l'attenzione su un punto (piano) più o meno esteso.
Come in ogni ambito i vari elementi sono interdipendenti, quindi vanno dosati per ottenere il risultato ottimale (ogni eccesso devia il risultato dalla resa ottimale).
Andiamo alla pratica.
Dando per assimilati i concetti di luce e prospettiva, mi concentrerei sul diaframma e la profondità di campo.
La mia sensazione è che per ottenere il massimo della tridimensionalità e plasticità (di cui parlerò più tardi, non so se in questo stesso post) è necessario scegliere il diaframma ottimale per la scena e il soggetto.
In alcuni casi, come accade spesso (non sempre) in architettura e paesaggistica, è necessario avere tutto a fuoco ed estrarre l'effetto 3D dalle linee (grandangolari e prospettive) e/o dalle luci-ombre, colori e contrasti.
Naturalmente maggiori saranno le sfumature e maggiore sarà la sensazione di realtà.
I cartoni animati anni '70, in antitesi, con i loro colori omogenei non miravano a rispecchiare la realtà e nemmeno a fornire un effetto 3D se non parzialmente (quanto basta).
Allora un obiettivo o un formato sensore sono determinanti per l'effetto 3D?
Il primo interpreta certamente un ruolo importante, anche se, ribadisco, i primi due elementi (prospettiva e chiaro-scuro) sono fondamentali.
Però l'obiettivo può affinare quelle che sono le caratteristiche del chiaro-scuro rendendo più naturali i colori, le transizioni tonali e le transizioni tra fuoco e fuori fuoco.
E' un questione letteralmente di "sfumature" o, meglio, di "rendering", cioè di come l'obiettivo "disegna" la scena.
La questione sfocato per me è importante, non determinante, ma se il diaframma viene scelto in funzione del grado di visibilità tra soggetto e altri elementi, allora gli scatti prodotti da diversi obiettivi avranno risultati visibilmente differenti.
La questione formato sensore è in parte indifferente, matematicamente si potrebbe dimostrare che basterebbe avere focali equivalenti, obiettivi più luminosi nei formati più piccoli e stessa risoluzione del sensore (non densità) per ottenere le stesse foto.
In pratica però la comparazione non è fattibile perché poi ogni formato ha ottiche diverse e cambiando lunghezza focale, tiraggio ecc. si introducono limitazioni fisiche e meccaniche per cui la comparazione diventa forzata se non sbagliata.
E la plasticità di un obiettivo che cos'è?
Semplificando è la capacita di rendere la scena più simile a come la vede il nostro occhio.
Tralasciando le transizioni tonali e i punti luce nello sfocato, anche la parte non completamente a fuoco concorre a dare allo scatto una sensazione di maggiore corrispondenza alla realtà (intesa come l'immagine prodotta/interpretata dal nostro vedere).
Uno zoom economico tende a rendere queste zone "nervose", poco naturali, poco morbide.
Quindi per me la plasticità è la capacità di rendere il dettaglio a fuoco o fuori fuoco leggibile (dettagliato) ma morbido (non "spigoloso").
P.S. Gli scatti tutto a fuoco fatti con cellulari o compartine limitano la tridimensionalità, gli scatti con diaframma troppo aperto per il soggetto sono invece sbagliati.