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Il reportage: cos'è, come si costruisce


Questo topic ha lo scopo di illustrare cosa sia un reportage, come lo si debba pensare e costruire e come infine lo si debba presentare al pubblico.

Molte volte ho visto gente che cerca di interpretare in modo soggettivo questo genere fotografico, che invece ha delle regole da seguire. Io stesso prima di mettermi a studiare, credevo che il reportage fosse una sequenza di immagini a tema e invece non è solo così. Per arrivare ad avere un reportage occorre seguire delle linee guida che, sebbene come tutte le regole possono essere valicate, vanno conosciute.

Partiamo dalla traduzione di questo termine, che in Italiano corrisponde a "Racconto per Immagini". Questa espressione la dice lunga, occorre raccontare, ma invece che usare le parole, come siamo sicuramente abituati, stavolta dobbiamo usare le immagini. La cosa è tutt'altro che facile...

Proviamo allora ad appoggiarci a qualcosa di noto, di più facile, ovvero proviamo ad immaginare di voler scrivere una favoletta. Indubbiamente possiamo ispirarci a qualche favola che già è stata scritta, ad esempio Cappuccetto Rosso. Ogni favola ha l'incipit con "c'era un volta", ok primo elemento da tenere a mente, poi c'è un abbrivio, abbiamo un protagonista e un antagonista, un problema o un piccolo inconveniente che si viene a creare, un momento topico e un eroe che risolve la situazione. Va bene, siamo pronti, adattandola alla nostra idea, abbiamo una scaletta da seguire per scrivere la nostra storia.

Sappiamo cioè adesso a cosa appoggiarci per usare quelle parole che ci permetteranno di legare i diversi punti della scaletta. Nel cercare allora di creare il racconto per immagini, è possibile sfruttare dei punti di appoggio? Possiamo cioè in qualche modo trovare delle pietre miliari che ci facciano da caposaldo nel creare la nostra storia?

Fortunatamente la risposta è positiva ed in particolare abbiamo 4 punti fondamentali da tenere a mente:

1. quanti scatti deve avere al massimo il nostro reportage
2. deve esserci una foto di apertura
3. deve esserci una foto di chiusura
4. deve esserci una pagina ampia, di respiro al centro del racconto

cominciamo allora ad analizzare questi 4 punti, partendo dal primo. Non è una cosa banale decidere la lunghezza del nostro racconto per immagini, infatti se lo facciamo troppo corto rischiamo di non raccontare abbastanza, se invece lo facciamo troppo lungo rischiamo di annoiare e/o dire troppe cose. Tornando al paragone con la favoletta, immaginate se Cappuccetto Rosso fosse: c'è una bimba con una nonna, un lupo mangia la nonna, un cacciatore la salva, vissero tutti felici e contenti. Sarebbe tremendamente corta, un sunto eccessivo che non ci farebbe godere pienamente del contesto e del racconto. Immaginate al contrario se fosse stata lunga quanto al divina commedia... decisamente troppo no?

Ecco allora che misurare il troppo e il troppo poco diventa indubbiamente importante e in particolare il rischio del fotoracconto è quello di mettere troppe poche foto, non facendo capire bene di cosa si sta parlando o di metterne troppe, facendo alla fine perdere il filo a chi guarda. Va considerato infatti che scorrendo delle immagini si ha un atteggiamento diverso rispetto allo scorrere delle parole. Il cervello è meno abituato, se infatti siamo ben abituati a leggere dalla nostra brillante carriera scolastica, siamo molto meno avvezzi alla cultura e al linguaggio delle immagini e quindi mettere troppa carne al fuoco giocherebbe a sfavore.

Ma troppo poco o troppo, come sono misurabili? Esiste cioè un valore che sia universalmente riconosciuto per capire quando stiamo esagerando in un verso o nell'altro? Ahimé no, un valore univoco non c'è e questo perché i contesti possono essere tremendamente diversi l'uno dall'altro. C'è però qualche indicazione da seguire...

Esistono infatti fotografi di prim'ordine che riescono addirittura a fare un reportage con una singola foto e quindi parlare di un limite minimo spesso potrebbe essere riduttivo. Verso il basso occorre riflettere sul cosa si sta raccontando: quello che vogliamo descrivere, quello che vogliamo mostrare, se mi fermo a 5 foto (numero a caso) è raccontato bene? Questa risposta la sappiamo ovviamente solo noi, noi eravamo sul fatto, noi sappiamo davvero cosa vogliamo mostrare. Occorre quindi indubbiamente maturare un senso critico per cercare di riuscire a rispondersi.
Dall'altra parte invece la domanda riguarda lo sbilanciarsi su troppe foto. Metterne troppe come detto significa far perdere il filo a chi guarda, prima o poi l'osservatore si perde e non capisce più niente. Una cosa FONDAMENTALE che deve maturare il fotografo che vuole approcciare ai reportage è la sintesi
Sappiamo bene che ogni nostra foto è una parte di noi, l'abbiamo fatta perché in quel momento abbiamo visto qualcosa. Sì, siamo sicuri che quello scatto ha un perché (almeno voglio sperare che sia così per tutti) e dire: "Questa sì, questa no" fa male. Scartare delle foto, eliminare dei pezzi, non è facile, ma indubbiamente va fatto.

Vorrei aprire infatti una parentesi non da poco... Il fotografo è sul campo, da esempio è andato ad una manifestazione a farne appunto un reportage. Ok, era in mezzo alla gente, viveva il contesto, la scena, il momento, ecc ma chi guarda invece tutto questo non lo vive affatto. Immaginate di comprare una rivista di viaggi e di leggere un servizio con foto di un reportage di viaggio dell'Himalaya, mentre siete... ehm, come dire... sulla comoda...
Ovviamente voi avete tutt'altra atmosfera (è proprio il caso di dirlo) rispetto al fotografo sull'Himalaya, quindi non vivrete quell'atmosfera a meno che il fotografo stesso non riesca a trasmettervela attraverso le foto.
La sintesi serve proprio a questo, le foto che vanno scelte devono essere quelle che effettivamente permettono di far capire cosa sto raccontando e di far entrare la persona nell'atmosfera del servizio?

Il compromesso tra il troppo e il troppo poco deve essere valutato di volta in volta, ma un numero fortunatamente si può dare come indicazione di massima. Generalmente l'osservatore fa fatica a seguire un fotoracconto che vada oltre le 20 foto. Prendendo quindi questo numero come massimo, si può valutare se raggiungerlo o meno.
In diversi servizi non sono arrivato a tale numero, mentre altre volte ho raggiunto tale limite. Di volta in volta occorre valutare, come già detto, qual è il numero migliore di foto da usare per fotoraccontare.

Il secondo punto, la foto di apertura, è un'altra importantissima questione da affrontare. Il nostro servizio deve infatti colpire, deve attirare il lettore proprio con la prima foto, quella di apertura. E' il biglietto da visita del servizio, il nostro modo di presentare il lavoro al lettore. Per farvi capire meglio, immaginate di acquistare una rivista di viaggi, sicuramente siete attratti dal leggere un articolo dalla prima foto, quella col titolo, quella che cioè apre il lavoro. Se la foto è accattivante, se è bella da vedere, se ha colori interessanti o riprende una scena curiosa, sicuramente siete motivati nel leggere l'articolo.
Questo è quello che dobbiamo sforzarci di fare nel creare una foto di apertura, trovare qualcosa che introduca il lavoro ad effetto.

Un'importante riflessione va fatta sull'apertura, che è legata alla cronologia degli scatti. Questa come detto è la PRIMA foto del servizio, ma non deve necessariamente essere la PRIMA FOTO SCATTATA. Se andate in Sardegna per fare un reportage sui villaggi nuragici, come prima foto che mettete quella ai biglietti aerei??? L'apertura va trattata come un jolly, una foto che ha il preciso scopo di presentare il vostro lavoro.

Vediamo allora qualche esempio di apertura, partendo da una manifestazione che si è tenuta a Roma per rivendicare l'acqua come diritto pubblico:

Immagine Allegata: 1.jpg


Questa foto non è affatto la prima scattata quando sono arrivato e non è nemmeno la foto dei primi passi mossi dal corteo. E' stata fatta durante la sfilata, mentre il corteo camminava e parla bene del senso della manifestazione. Si capisce che di corteo si tratta dagli elementi che ci sono, infatti si vedono le persone, le bandiere, uno striscione e altri oggetti che fanno capire di cosa si parlerà. E' una foto indubbiamente riconducibile ad una manifestazione, ma è tutt'altro che la prima scattata o i primi passi del corteo. Da Piazza della Repubblica ci si era già mossi e la testa del corteo stava decisamente più avanti. Mi sono andato a prendere un gruppo lungo la sfilata e questo mi serve per aprire. Bisogna cioè svincolare il concetto di primo come legato al tempo o alla posizione. Della testa del corteo, con tutto il rispetto, non me n'è fregato niente, questo pezzo di corteo è quello che mi permetteva di aprire bene questo servizio e allora così lo ho usato.

Vediamo un altro esempio di apertura, sta volta preso da un reportage fatto ad una cerimonia Hare Krishna:

Immagine Allegata: 1.jpg



Questa foto non è affatto la prima scattata, anzi, troppe ne avevo fatte e non è nemmeno l'incipit della cerimonia, è una foto alle divinità che permette di capire subito in quale contesto ci si sta calando.

Se quindi come visto la foto di apertura serve a fare da biglietto da visita, ragionando anche in termini editoriali, questa foto deve avere uno spazio per poter inserire un titolo. Immaginate il reportage di cui sopra in Sardegna, sarebbe bello scrivere come testo sulla foto di copertina tipo :"La terra dei nuraghi" o altro, che serva ad aiutare la foto di apertura a far capire al lettore di cosa si sta parlando.

Capite quindi quanto è importante questa foto? Si tratta di un elemento base, di un fondamentale che non può essere in alcun modo trascurato dal fotografo che, durante la creazione del servizio stesso, deve ragionare per fare delle foto anche orientate a questo. Mentre si scatta cioè si deve tenere a mente che un'apertura va fatta, che un'apertura ci deve essere e quindi in anche questa ottica bisogna lavorare.

Il terzo punto è quello della foto di chiusura. Esattamente come per la foto di apertura, anche qua serve uno scatto che finisca il racconto. Le favolette hanno la frase "e vissero tutti felici e contenti", ecco in fotografia dobbiamo trovare l'equivalente che però non sarà mai, verosimilmente, la stessa foto per tutti i servizi, ma sarà piuttosto scelta di volta in volta. L'importante è che la foto di chiusura dia idea del fine racconto
Ci sono diverse scelte che possono essere fatte, ad esempio si possono sfruttare le chiusura suggerite dalla natura. Ad esempio un tramonto è indubbiamente associato ad una fine, mentre un'alba ad un inizio. Ecco quindi che in un servizio di viaggio potrebbe essere utile usare una chiusura con un tramonto, come ad esempio fatto con la seguente:

Immagine Allegata: 2.jpg


Siamo a Bolsena, cittadina del Lazio e ho deciso di dire "the end" facendomi aiutare dalla natura. Paravento? Sì lo ammetto, ma è talmente buona come scelta, talmente "facile" che non sfruttarla sarebbe veramente una fesseria.
Va detto però che non tutti i servizi finiscono al tramonto, ad esempio se si sta facendo un reportage sociale, ovvero con le persone, non è affatto detto che si arrivi al tramonto, ma non è neanche detto che si stia all'aperto e quindi questa chanche non ci sarebbe. Ed ecco allora che risultano essere molto utili degli accorgimenti che hanno a che fare col significato dei gesti e dei movimenti ritratti. Ad esempio una persona che di spalle si allontana, dà idea di chiusura, mentre darebbe idea di apertura una che ci cammina incontro. Un esempio di questa chiusura è riportato di seguito:

Immagine Allegata: 3.jpg


In questa foto il suonatore di fisarmonica se ne va, nel reportage c'erano un paio di scatti a lui dedicati e adesso l'ho ripreso di spalle che se ne va via. Si noti il piede alzato che dà il dinamismo del passo, e la posizione decentrata. A questo si aggiunge anche una luce, un bagliore sullo sfondo che non fa ben capire dove vada.

Un'altra foto che sfrutta questo esempio è la seguente:

Immagine Allegata: 4.jpg

Qui abbiamo la foglia in primo piano a fuoco e nello sfocato dello sfondo una figura che se ne va via. Anche qui abbiamo il senso di fine racconto, se la gente che è stata ripresa nel servizio ora ci volta le spalle e se ne va, non c'è altro da riprendere, altro da dire.

Siamo arrivati infine al quarto punto, ovvero ad una pagina di ampio respiro. Prima di affrontare questo argomento, rifacciamo il punto brevemente per capire cosa abbiamo fatto. Si è detto che:
1. 20 foto max (most cases)
2. un bel biglietto da visita come apertura
3. una foto che dia senso di fine come chiusura

Ok, diciamo quindi che la foto 1 è l'apertura e la foto 20 è la chiusura. Ma tra apertura e chiusura... che accidenti ci mettiamo? Per quanto quello che sto per scrivere possa sembrare una banalità, in mezzo ci va il racconto. Questo racconto sicuramente ci farà immergere nella realtà oggetto del nostro servizio, ad esempio nella manifestazione che abbiamo visto prima e quindi scenderemo in dettaglio. Questo ci porta a fare il pieno di informazioni, ci porta a vedere particolari, scene o personaggi particolari, insomma parte il racconto.
Ad un certo punto però occorre dare un po' di respiro a chi legge, fare una sorta di break, una pausa. A questo serve il paginone centrale, qualcosa ovvero che a pagina 10 (sempre seguendo le indicazioni precedenti) stacchi un attimo dal racconto di dettaglio.
Generalmente il paginone è una foto orizzontale, che occupa 2 facciate in una impaginazione editoriale e che ha degli spazi ampi. Esempi? Ad esempio il seguente è il paginone centrale del reportage di Bolsena

Immagine Allegata: 5.jpg


Come si vede la piazza è ampia, c'è il borgo antico del paese che si vede arroccato e poi ci sono altri elementi, come la chiesa di San Francesco sullo sfondo, che era stato già oggetto di foto precedentemente.

In alternativa abbiamo questa:

Immagine Allegata: 6.jpg


questo è il paginone di un reportage fatto al Ghetto di Roma, dove gli spazi stretti dei vicoli, le persone che lo popolano, trovano una sosta al Portico d'Ottavia, monumento caratteristico del quartiere, con i turisti.
Capisco che estrapolando le foto da un reportage non si riesce a capire tutto alla perfezione, però il senso del paginone centrale è quello descritto: spezzare un attimo, far rifiatare.
Si può anche sfruttare questa pagina come una sorta di canale di divisione tra argomenti, ad esempio prima si tratta un tema e poi un altro.

In mezzo a tutti questi capisaldi, va inserito il racconto, ovvero va inserito qualcosa che racconti il contesto, la scena. Per fare ciò allora vediamo di commentare insieme il reportage sul Ghetto di Roma, mostrato a pezzi prima, per intero. Per non intasare il topic, metto il link direttamente al post su nikonland: http://www.nikonland...-sul-campo/

Queste foto vogliono raccontare il Ghetto prendendo in esame la sua triste storia per i fatti della seconda guerra mondiale, mettendo anche in evidenza quanto sia stata una trappola a causa dei vicoli tremendamente stretti; vuole raccontare dei simboli ebraici che ad oggi ancora sono ben visibili nel quartiere, gli immancabili locali famosi per la cucina kosher, il via vai che si registra nei vicoli, vista la posizione a Roma del quartiere, la comunità nigeriana che presso la chiesa di Sant'Ambrogio ha le sue cerimonie.

Come potete notare dal racconto, si scende in dettaglio specifico. Le prime 3 foto, con l'apertura che ha già il titolo nella foto stessa, la dicono lunga su cosa è stato nel Ghetto, la triste storia. Si passa poi al presente, ai simboli ebraici che erano tanto odiati dai nazisti e che invece oggi vivono serenamente in questo quartiere. Si passa poi ai locali, ai ristoranti, con foto di dettaglio su questo tema. non c'è niente di generico, si racconta qualcosa. Il tutto fino ad arrivare al paginone, dove rimanendo sul monumento del Portico d'Ottavia, altro elemento caratteristico, si passa poi alla comunità nigeriana.

Si chiude poi col suonatore di fisarmonica, visto che la domenica non mancano mai.

Insomma, chi ha visto cose, chi ne ha viste altre, chi pensa che la fontana delle tartarughe doveva essere nel servizio ecc ecc, io ho dato la mia interpretazione del Ghetto, seguendo le linee guida:
apertura --> con titolo nella foto stessa
chiusura --> tizio che ci saluta e si allontana, richiamato dalle ultime 2 foto del servizio
paginone --> stacco tra quanto c'è di ebreo e la comunità nigeriana
numero pagine --> circa 20


Come vedete il racconto ha degli argomenti, delle cose da raccontare, che sono state esplicate nelle foto stesse. Ne ho fatte TANTE altre, circa 90 foto, vale a dire circa 4 volte più delle 20 massime, eppure ne ho selezionate anche meno di 20. Per me il racconto è questo, ognuno ha il suo, ma per realizzarlo ho seguito non una procedura casuale, ma quanto elencato prima.

Una volta compreso come si costruisce un reportage occorre spendere due parole su cosa può essere oggetto di un racconto. In teoria tutto può essere raccontato, quindi tutto può essere oggetto di un reportage, ma per dare una classificazione si sono introdotte delle categorie di servizi:

- Reportage di viaggio: reportage che racconta un viaggio in un luogo
- Reportage sociale: reportage incentrato su un racconto che ha a che fare con le persone, il loro mondo e la loro attività
- Reportage naturalistico: reportage in cui si racconta qualcosa a sfondo naturalistico


Il primo, quello di viaggio, è quello che dal punto di vista amatoriale è il più facile da fare, quello che capita più spesso ed è quello che dal punto di vista commerciale popola riviste di settore come Bell'Italia e simili. E' un racconto di un luogo, che deve dare idea al lettore del luogo e fargli magari venire anche voglia di andarci. Il reportage di viaggio generalmente, per un amatore, fa i conti con quanto è possibile fare in base a quando siamo sul posto. Sarebbe bellissimo poter scegliere una data qualsiasi per recarsi in un posto, magari quello col meteo perfetto, quello con un evento che popoli meglio un paese o un luogo, ma per gli amatori che magari dal lunedì al venerdì fanno altro, magari questo è impossibile.

In ogni caso per un reportage di viaggio occorre recuperare molte informazioni, ovvero avere la piena coscienza di dove si va, quali sono i monumenti più famosi o i must che un reportage deve avere, l'esposizione di alcuni edifici che magari è meglio riprendere di mattina o di pomeriggio ecc ecc.

Altri elementi da considerare sono anche quelli legati alla logistica, per lasciare la macchina cosa c'è in zona? Si possono usare dei mezzi pubblici? Dove si vendono i biglietti? Quanto costano?

Insomma, la cosa fondamentale è raccogliere informazioni. Questa fase deve essere preliminare, ovvero bisogna partire già con la conoscenza di tutto, non si deve andare allo sbaraglio alla ricerca di qualcosa. Se si vuole andare a fare un reportage di viaggio a Firenze, è importante sapere cosa c'è da fotografare, quali sono le distanze tra i monumenti ecc ecc.

Discorso diverso del professionista, infatti il professionista generalmente lavora su commissione. Questo vuol dire che spesso ci sono delle linee guida che sono già imposte, cioè il professionista potrebbe ricevere una richiesta per un particolare aspetto di Firenze, rimanendo su quella città. Ad esempio potrebbe essere richiesto di fare un reportage sulla Firenze barocca, tanto per dirne uno.
Il tutto poi dipende dal contesto, perché magari per Firenze c'è modo di fare più servizi, ma se ad esempio si va a Lipari, piccola isola, là c'è poco da scegliere...

Il professionista deve anche fare i conti con un altro aspetto, che è la destinazione d'uso. Il dilettante infatti sostanzialmente se la canta e se la suona, vale a dire che posta le foto su un forum o su un blog, impaginandosele come vuole, magari mette anche lui il testo. Il professionista che manda ad esempio a Cairo Editore le foto per il viaggio a Lipari da pubblicare su Bell'Italia, sicuramente non avrà a disposizione 20 foto, a meno di una destinazione davvero fantastica. Il testo viene scritto di solito dalla redazione e quindi spesso non c'è controllo totale sulla storia. Le foto poi, per rientrare in una rivista, vengono spesso tagliate, viene cambiato il formato. Altre volte in presenza di pubblicità importante le foto vengono desaturate, in modo tale da far "galleggiare" il lettore sulle foto e poi far vedere bella satura la pubblicità.

Il non avere a disposizione 20 foto significa sostanzialmente comprimere gli argomenti, vale a dire che da subito deve essere chiaro di cosa si parla. Lo spazio è poco, spesso si hanno editori macellai che tagliano a pezzi tutto. Ci sono insomma delle regole non scritte che alla fine costringono il fotografo a lavorare molto diversamente.

Va anche detto che non ci si improvvisa professionisti, quanto meno non si dovrebbe, quindi per una trattazione amatoriale, seguendo le indicazioni elencate, si riesce quantomeno a strutturare un lavoro. Nessun giornale mai verrà a chiedermi il reportage del Ghetto o qualsiasi altro lavoro, né è mia intenzione, ma iniziare a ragionare in modo strutturato, è la prima base per qualsiasi altro passo.


Il reportage sociale è invece un reportage che è incentrato sulle persone. Questo racconto per immagini è volto a mostrare le attività che vengono svolte da qualcuno in un particolare contesto. Ad esempio una professione, oppure un documentario in un ospedale, un reportage sugli sfollati in un fronte caldo... insomma ci si può sbizzarrire a cercare qualsiasi interazione con le persone.
Le difficoltà di questo reportage sono completamente diverse, infatti se nel viaggio occorre essere ben informati sui monumenti, qua occorre sapere BENE quali persone si vanno a fotografare. Ci sono ad esempio religioni o credenze o morali di una certa etnia che fanno odiare le foto? Provate a fare una foto agli indios messicani... :)

Le persone potrebbero reagire in modo diverso quindi al nostro operato e questo ci può mettere in difficoltà. L'approccio è fondamentale... A riguardo bisogna fare una piccola riflessione anche sull'attrezzatura, per capire meglio come interagisce il ruolo del fotografo.
Immaginiamo di avere a disposizione una focale corta per il nostro reportage, uno zoom tipo il 24-70. Se siamo equipaggiati così, siamo costretti ad avvicinarci, a vivere la scena, ad integrarci in essa. In questo caso potremmo "sporcare" la scena, dal momento che entriamo in un evento che accade anche senza il fotografo. Ci inseriamo in questa scena e iniziamo a scattare. Cosa succede?
Beh sicuramente dobbiamo cercare di non essere aggressivi, dovremmo essere il più trasparenti possibili per cercare di non inquinare il contesto, arrivando cioè ad avere lo stesso svolgimento che si sarebbe avuto anche in nostra assenza.
In questo frangente il nostro comportamento è fondamentale, il nostro modo di rapportarci alle persone è determinante per il nostro successo. C'è però un trucchetto che possiamo sfruttare, che è costituito dalle foto di avvicinamento e dalle foto di allontanamento. Un esempio è dato da una fotografia che fece Dorothea Lange:

Immagine Allegata: dor001.jpg

Questa foto è stata fatta dalla Lange con una macchina a lastre avvicinandosi man mano alla donna che, al primo impatto con la fotografa, aveva assunto un'espressione tutt'altro che rilassata. Cosa che invece poi si è manifestata quando la donna si è abituata al fotografo.

Quando un fotografo entra un una scena con una focale corta, sicuramente può fondersi in qualsiasi realtà, riducendo le distanze, vivendo le scene stesse, ma come detto non deve inquinarle.

Se invece viene fatto un reportage con una focale lunga, in questo caso si ha un contesto completamente diverso, dal momento che si è più lontani. Di sicuro non c'è rischio di inquinare alcuna scena, dal momento che si sta lontani, però le complicazioni sono parecchie. Tra noi e la scena possono esserci molti elementi di disturbo, ad esempio passanti che passano davanti alla nostra lente.

Ci sono diverse scuole di pensiero che danno più credito ad una scelta piuttosto che ad un'altra, c'è chi dice solo grandangolo, chi solo tele. Il fatto è che lo scopo è sempre uno: raccontare. Se quindi il fotografo si trova bene con un modo, allora che segua quello, visto che tanto il fine è quello di mostrare qualcosa.

Nelle foto a persone ricorso la questione della diffusione delle immagini che riprendono soggetti. Ovviamente non si deve mai ledere la dignità dei soggetti ripresi ed in particolare anche solo per metterle su Internet, occorre una liberatoria, ovvero il soggetto ritratto e il fotografo si accordano sulla possibilità, concessa dal ritratto, di poter diffondere queste foto.
Non è sempre però possibile fare una liberatoria, immaginate ad esempio se si va in un mercato, se si riescono a convincere tutti sul firmare sto documento, bisogna perdere tempo ecc ecc. La scelta migliore in questi casi è il buonsenso. Non bisogna mai approcciarsi come un ladro di immagine, come qualcuno che voglia fare un torto scattando una foto. Concordarla, farsi accettare, è sicuramente la strada che eviterà qualsiasi tipo di bega. Ovviamente occhio anche a chi fotografate, se ci sono persone che non gradiscono, meglio evitare, perdendo una foto, piuttosto che rischiare danni all'attrezzatura o fisici.
Al solito per fini commerciali ci sono tutte attenzioni diverse, ma per un amatore la liberatoria garantisce sufficiente tranquillità, anche se ripeto il buonsenso la fa da padrona.

Per chiudere questo tema va anche citato il cosiddetto diritto di cronaca, ovvero se si sta ad una manifestazione, tipo quella dell'acqua pubblica di cui sopra, è impensabile dover chiedere la liberatoria a tutti e allora si concede appunto il diritto di cronaca, ovvero visto che il fatto è pubblico, visto che è un fatto all'attenzione della pubblica opinione, allora non serve avere l'autorizzazione del ripreso esplicitamente, sempre fatto salvo il rispetto della dignità del ripreso.


Per il reportage naturalistico le problematiche sono diverse. Qui un sopralluogo è indubbiamente necessario, perché andare alla cieca in un posto, senza sapere ad esempio l'esposizione rispetto al sole, il meteo presente in una certa data, se ci sono o meno vegetazioni colorate in modi particolari in alcuni periodi dell'anno, ecc
Occorre molta pazienza, per saper scegliere quando ci sono le ombre giuste per avere profondità, saper leggere le sfumature di colore ecc

Il più grande fotografo in questo campo è stato sicuramente Ansel Adams, che ha fatto poi un proprio personalissimo stile di scatto, sviluppo e stampa delle sue foto a lastra.

La concezione da mettersi bene in testa è che il fotografo naturalista non può fare come in sala posa, deve adattarsi a quello che trova e questo può essere anche molto difficile e riservare cocenti sconfitte.


Sia per il reportage sociale che per il reportage naturalistico, valgono le stesse identiche considerazioni che distinguono un lavoro amatoriale da uno di professione. L'amatore al solito si auto-costruisce la richiesta, si sceglie il luogo, l'argomento e tutto quanto e per di più se lo impagina anche, senza avere alcuna problematica successiva alla consegna delle foto. Formati particolari? Per l'amatore non sono un problema. Taglio delle foto? Le decide l'amatore stesso. Il racconto ci mette un po' a decollare, senza essere immediatamente rapido? No problem per l'amatore per il quale non ci sono magari vincoli stringenti al numero delle foto, sebbene 20 sia l'indicazione da seguire.


Per chiudere, quello che è stato raccontato è un metodo per iniziare a raccontare con le fotografie, uno spunto che un amatore può sicuramente prendere a riferimento. Le evoluzioni poi possono essere le più disparate da questo modello di base, con stili personali che poi si vanno man mano a definire. Di mio ho visto che l'esperienza è la miglior maestra, non c'è modo di riuscire senza prima sbagliare. Avere però un modello da seguire è altrettanto fondamentale.
 


7 Comments

Foto
Raffaele Pantaleoni
mag 07 2013 09:33

Complimenti per l'articolo e grazie per le informazioni. Probabilmente durante il mese di maggio avrò la possibilità di visitare la bottega di uno scultore insieme ad un paio di amici fotografi. Questo tuo articolo mi servirà da guida per (tentare di) raccontare qualcosa.

Foto
Giorgio Guastella
mag 07 2013 09:52

Sei riuscito a trattare in maniera semplice e sintetica un tema davvero complesso: complimenti!

Per quanto riguarda la scelta delle lenti, anche se come giustamente sottolineavi non esiste una verità assoluta, io mi schiero decisamente tra coloro che preferiscono "immergersi nella scena" con un grandangolare non troppo spinto: trovo che in questo modo le atmosfere risultino molto più vissute e partecipate di quanto sia possibile ottenere scattando da lontano...

 

Ciao e grazie per questo contributo!

sono contento vi piaccia, anche perché da quando ho iniziato anche io a seguire queste regole, mi diverto veramente tanto...

Grazie, Alessandro. Un contributo per me utilissimo, espresso con molta chiarezza e semplicità. 

Grazie per il lavoro fatto, lettura molto interessante.

Istruttivo, ben fatto, ben scritto... Bel lavoro.. Grazie.

Paolo

Interessante!

 

Ad alcuni concetti che avevo ben chiari, ne hai aggiunti e ben illustrati altri di cui farò tesoro nel prosieguo della mia attività fotografica amatoriale. :)

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