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in Corso di Fotografia
Andiamo agli esposimetri, dunque...
Non si tratta d'altro che di cellule costruite con elementi fotosensibili, diverse in funzione della capacita' di cattura, in alcune di esse del tutto autonoma da alimentazione, come nel caso delle cellule al selenio
tra le prime ad essere utilizzate su macchine fotografiche, queste cellule fanno ormai parte della storia, perche' non sufficientemente reattive ai repentini cambiamenti di luminosita' e sopratutto perche' davvero poco efficienti, sia nelle alte sia nelle basse luci... sicuramente eccezionali sotto il punto di vista dell'autonomia da qualsiasi necessita' di alimentazione e peraltro per la loro longevita' (l'esposimetro al selenio della Rolleiflex della foto, un modello del 1957, funziona perfettamente fifty years after...), ma ingombranti, obbligatoriamente esterne, quindi anche fragili e non particolarmente precise.
Ma ben prima di arrivare alla concezione moderna dell'esposimetro incorporato alla macchina fotografica, tali strumenti furono eminentementi degli aggiuntivi da portarsi appresso, dalle forme e funzionalita' piu' disparate, compreso l'unita' di misura e visualizzazione che passava dai lux e candle dei primi luxmetri agli attuali EV (exposition values) base di calcolo dei sistemi di esposizione delle piu' moderne reflex.
A seguire gli esposimetri al selenio, si comincio' a progettare delle cellule molto piu' compatte, che potessero essere alloggiate all'interno dei corpi macchina, in prossimita del piano focale, a realizzare quella che nelle reflex di piccolo formato fu chiamata
la lettura TTL (through The Lens... attraverso l'obiettivo) della luminosita della scena inquadrata, quindi gia' per posizionamento, molto piu' precise, affidabili e sicure di quelle al selenio:
le prime cellule del genere furono quelle al Solfuro di Cadmio (CdS), molto piu' sensibili alla basse luci, ma ancora sofferenti di accecamento nel malaugurato caso venissero puntate direttamente verso una forte sorgente luminosa;
si passo' quindi ai piu' moderni esposimetri al silicio, caratterizzati da una estesissima gamma di risposta agli estremi opposti: naturalmente, tutte queste nuove cellule di misurazione, per generare il campo elettrico necessario alla misurazione, devono essere alimentate da una o piu' batterie di capacita specifica, per fortuna longeve, chiudendo pero l'era degli apparecchi fotografici totalmente meccanici ed aprendo quella dell'elettronica applicata alla fotografia:
siamo appena ai primi anni Sessanta...il must dell'epoca e' marchiato Nikon e si chiama Photomic... e' sgraziato tanto quanto invece elegante il prisma che va a sostituire sulla F, ma rappresenta uno dei primi tentativi di incorporazione all'apparecchio di una cellula esposimetrica e di collegamento della stessa alla ghiera dei diaframmi dell'obiettivo, a realizzare uno dei primi automatismi di funzionamento in un mondo ancora del tutto ... manuale...!
Vediamo allora come funziona un esposimetro prendendo ad esempio uno dei tanti modelli a mano, che utilizzano una logica del tutto analoga a quella delle cellule incorporate nelle macchine fotografiche.
I piu' diffusi fino a qualche lustro fa erano quelli in cui un ago indicava il livello di luminosita misurata in EV (Exposition Values) che, riportato sull'apposita scala del disco combinatore, faceva ottenere a tutta vista ogni coppia tempi di otturazione/diaframmi obiettivo, assolutamente interscambiabili nell'utilizzo sulla macchina
oggi quasi del tutto sostituiti da strumenti a indicazione digitale, ancora piu' immediati e completi nell'utilizzo
dai quali si deduce con facilita ogni impostazione da effettuare sulla macchina fotografica.
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1 Comments
Il sensore RGB è di tanto migliore delle cellule? Ma leggo bene, è poco più rande di un mm di lato? 1,25x1,675mm?