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"La scelta"
Inviato da
Marius
,
09 aprile 2012
·
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La scelta
Di rientro dal mio ultimo soggiorno in Giappone, mi porto dentro un ricordo particolare di un’esperienza breve ma significativa per me.
Avendo un problema con l’AF del 70-200, e trovandomi a Tokyo per alcuni impegni, decido di recarmi al Nikon Customer Center di Shinjuku, quartiere della megalopoli giapponese.
Mentre attendo che un tecnico esamini l’ottica, do’ un’occhiata intorno alle varie foto appese ai muri ed una volta terminato il giro della sala, noto un cartello che indica “Nikon saloon”.
Entro e trovo un’esposizione di foto sulla tragedia dello tsunami dello scorso anno.
Il titolo è "HOME".
La quasi totalità degli scatti sono in b/n con taglio quadrato, altri in formato classico reflex a colori, di grandi dimensioni.
Guardo quelle immagini e noto immediatamente che ritraggono quella realtà in modo poco spettacolare, nonostante sia qualcosa che si presterebbe molto bene ad essere spettacolarizzato.
Osservo turbato i frammenti di un mondo spazzato via in un attimo.
La devastazione non ha risparmiato niente e nessuno, ha profanato i cimiteri, distrutto i templi, sommerso di fango e macerie le vite di migliaia di persone, neppure i pesci sono sopravvissuti alla furia dell’acqua.
Militari infangati ed immobili di fronte ad una distesa infinita di macerie.
Interminabili file di persone, ordinate e silenziose, attendono il poco cibo che potranno ricevere.
Guardo un’aula di scuola travolta dalla morte.
Una foto ritrae un pescatore che, appoggiato alla piccola barca in secca, guarda lontano verso un oceano ora calmo.
Anziane donne sedute sul marciapiede che guardano il loro mondo in frantumi.
Un’altra mette in un piccolo pentolino i pochi frammenti di vita che trova dove una volta c’era la sua casa.
Fiamme, macerie, un gatto ormai senza padrone ne amici.
Un cimitero di carcasse di auto, in qualche modo ordinatamente adagiate l’una accanto all’altra.
Poi il racconto si snoda nei mesi successivi.
Le gru che rimuovono macerie, le strade principali ripulite.
Una veduta sterminata e deserta che ritrae innumerevoli basamenti di case scomparse nel nulla.
Un uomo ed una donna mano nella mano.
Panorami di macerie attraverso rami di ciliegi in fiore.
Papaveri rossi ai lati di scale improvvisate per salire all'ultimo tempio rimasto.
Vedo il tentativo di recuperare un briciolo di normalità, di vita, di speranza.
Il mercato del pesce, una festa tradizionale, l'albero di Natale....l'alba del primo giorno del 2012.
Ho terminato il giro, decido di ricominciare un’altra volta.
Poi mi accorgo che, in un angolo dietro un piccolo banco, c’è un signore giapponese di mezza età con una reflex in mano.
E’ l’autore del reportage.
Sono stato fortunato poiché oggi è il primo giorno dell’esposizione per cui lui è qua, se ne andrà presto.
Aiutato dalla mia compagna mi presento a lui.
Ci salutiamo nella maniera tradizionale giapponese, alcuni inchini, parole di circostanza e lo scambio del biglietto da visita, offerto e ricevuto con dovuta cortesia e con gesti gentili ed educati.
Iniziamo a parlare ed a conoscerci.
E’ un fotografo professionista che ha lavorato decine di anni in Europa fotografando reduci e luoghi teatro della Seconda Guerra Mondiale.
Oltre a questo mi dice anche un’altra cosa di se che mi fa correre un brivido lungo la schiena……lui è originario della provincia di Tohoku, una delle più colpite dallo tsunami, e molte delle foto che ha esposto provengono da quel luogo.
La conversazione cambia tono.
E’ difficile fare domande ad una persona che ha visto la propria terra venire sconvolta, forse per sempre, da una catastrofe simile.
Lo lascio parlare, sicuramente sarà più interessante ascoltarlo piuttosto che inventare domande che abbiano almeno la parvenza di essere sensate e rispettose.
Mi racconta della dura scelta di fare quel reportage.
Della difficoltà nel fotografare quelle scene, con gli occhi che non smettono di versare lacrime, mentre di fronte all’obiettivo sfilano i militari che allineano i cadaveri.
Parliamo un po’ di questo e poi ho modo per fare una domanda che esula da tutto questo e che riguarda strettamente la tecnica fotografica, o almeno credevo.
Gli domando del perché del taglio quadrato.
La sua risposta è stata inimmaginabile e bellissima.
Mi ha detto che ha scelto una Hasselblad perché così, ogni volta che avesse inquadrato la scena guardando nel pozzetto, si sarebbe inchinato rispettosamente di fronte a ciò che avrebbe ripreso.
Sono rimasto profondamente colpito da questa risposta e dall’enorme rispetto che quest’uomo ha di ciò che fotografa, ben consapevole dei drammi che ritrae nei suoi scatti.
Non dimenticherò mai quall’incontro.
Lui ha affermato che è stato il destino che ci ha fatti incontrare e, per ricordarmi di quel giorno, mi ha fatto dono di un suo libro, dove si trovano tutte quelle foto che ho visto e molte altre, scrivendo una bella dedica in seconda copertina.
Purtroppo non ho tempo per stare a parlare ancora con lui, devo andare.
Ci salutiamo con un inchino profondo, lui il narratore, io l'ascoltatore.
Lui che ha raccontato i "perchè" ed io che non ho chiesto i "come".
L'ho ringraziato per il coraggio, la forza e la discrezione con le quali ha eseguito quelle fotografie.
Mi ha ringraziato per aver capito.
Spero un giorno di poterlo rincontrare e magari avere modo di guardarlo fotografare.
Quello che mi porterò dentro per sempre sarà una maggiore consapevolezza dello sforzo che è necessario fare per poter capire ciò che ci apprestiamo a riprendere, e della giusta predisposizione mentale e fisica che dovrà derivare da questo…
...prima di scattare.
______
Andrea
Aneddoto molto interessante