Bel quesito e bella la serie di immagini di Rudolf.
Il quesito di Raffaele secondo me è duplice. Lui chiede cosa si è disposti a fare per ottenere la foto e cita creare situazioni o aspettare che si svolgano.
Questo è un aspetto importante, e ne discuto volentieri per quanto la mia esperienza non è enorme.
La "situazione" si crea molto spesso. Io non credo di esagerare se affermo che oltre l'80% delle BUONE foto di passeriformi ad es. implica la gestione di mangiatoie, creazione di capanni e così via dai livelli più semplici ai più sofisticati, in modo da attirarli in gran numero e vicino, avere il bel posatoio, lo sfondo privo di elementi di disturbo e così via.
Se mi siedo fra i cespugli ed aspetto che i passeriformi vengano da me... casi fortuiti a parte, sono di solito destinato ad aspettare a lungo (o a fotografare puntolini). Non per niente la creazione di minioasi gestite sta diventando un piccolo business, visto che non tutti abbiamo a disposizione un pezzetto di bosco dove mettere mangiatoie e capanno.
Per altri soggetti può essere abbastanza fruttuosa la ricerca delle località "giuste" e successiva mimetizzazione incapannamento in loco (ardeidi, limicoli, gruccioni ecc.).
Insomma a parte alcune tipologie di luoghi o di soggetti, un minimo di preparazione ci vuole.
Allo scoperto (la cosiddetta fotografia vagante) si possono fare buone cose, ma molto più raramente.
L'altro aspetto del cosa siete disposti a fare considera l'impatto del fotografo. Legato al primo, volendo. L'ideale, mi ripeto, è quello che scrisse Domenico Ruiu, un maestro, riguardo ai suoi rapaci, ossia che i soggetti vivano la presenza del fotografo nella più totale indifferenza, come se non ci fosse.
L'ideale è difficile da raggiungere. Anche solo all'arrivo dell'auto gli ardeidi spesso si involano infastiditi, consentendoci delle riprese dinamiche, ma in termini umani siamo dei rompi... . L'obiettivo rimane l'indifferenza, ma se non lo si riesce a raggiungere, almeno si deve cercare di minimizzare l'impatto in modo che non arrechi alcun danno temporaneo o permanente.
Qui mi viene da citare Moose Peterson nikonista d'eccezione che intitolava i suoi seminari "walking softly" (camminare con leggerezza) e aveva come motto "nessuna foto vale la sofferenza del soggetto"
Quindi niente foto ravvicinate ai nidi dove come minimo si causerebbe stress e nella peggiore ipotesi i genitori abbandonerebbero la covata, niente foto che porterebbero entusiasti poco preparati a devastazioni di nidi e/o aree di alimentazione. In macro niente refrigerazione spray e niente plamping sconsiderati (accettabili quelli fatti con metodo e conoscenza della capacità di recupero dei soggetti). Insomma se firmiamo una petizione contro la caccia poi non possiamo trasformarci in degli Attila della Domenica per portare a casa le foto.
Ultimo punto, e ritorno a quanto scritto da Raffaele sul cosa siamo disposti a sobbarcarci... ci sarebbe da scrivere un libro umoristico.
Uno dovrebbe portarsi quello che serve secondo le necessità e il livello di impegno dell'escursione. Spesso però la volontà di ostentazione porta a effetti comici, (versione fotografica di "ho la Ferrari"), in questo senso Torrile era il massimo dalle mie parti, gente vestita da Desert Storm con carrelli per portarsi dietro ... obici a lenti, che andavano ad ammassarsi nei capanni con feritoie più strette del diametro dell'obiettivo... fra incroci di treppiedi, gomiti e gambe, su panche soggette a fenomeni sismici continui...
Oppure di gente che muore di fatica sotto il peso di attrezzature monumentali, per cui quando arriva sul sito non è più in grado di fotografare.
Ho incontrato in Val D'Aosta fotografi che avevano ottenuto buonissime immagini di camosci in quota perchè si erano portati il Sigma 120-400/150-500 OS e basta.
Galen Rowell, grande paesaggista e fotonaturalista nelle sue escursioni e nei workshop stupiva tutti perche andava con una nikon FG ed un corredo ridotto, perchè se lo doveva portare appresso tutto il giorno.
Per cui... io non avendo ottiche pesanti non ho il problema, se ne avessi, valuterei la situazione: se scatto da postazione fissa e vicina al mezzo di trasporto, allora porterei di tutto, o se invece devo percorrere molta strada starei leggero.
Ho notato su me stesso, non so se valga anche per altri, una proporzione inversa fra il numero di obiettivi che mi porto e la quantità di foto che scatto. Le ridondanze rallentano e intanto che decidi i soggetti se ne vanno.
Ciao,
Silvio
PS il discorso può essere anche molto più complesso, se si prendono in esame le motivazioni (estetica, documentazione, ricerca). Vediamo come si sviluppa.
PPS. Come sta scritto in una foto messa sopra da Rudolf, è mia ferma convinzione la foto di natura dovrebbe essere un immagine di un evento reale, quindi niente Frankenstein digitali, (nel senso di soggetti/situazioni creati o alterati digitalmente al di là di quello che è ottimizzazione. Anche questo è un discorso che si presta a sviluppi, ma credo ci sia già da qualche parte un topic in merito.